Il Ministero della Pubblica Istruzione Israeliana ha avviato una serie di interviste nel mondo della scuola all’estero, per capire meglio cosa è successo anche fuori dal loro paese con la DAD e quali proposte sono emerse per il futuro in risposta alla didattica a distanza iniziata con l’emergenza sanitaria.
Per vie traverse, tramite la mia compagna Nathalie Alony, l’intervista è arrivata pure a me, e per come funziono io, ho preventivamente chiesto un confronto sugli argomenti che sarei andato a discutere alle persone che maggiormente stimo, compreso i miei studenti.
Allego sotto la falsa traccia dell’intervista, avvenuta in videoconferenza con due formatrici del corpo insegnanti e una ispettrice della scuola pubblica israeliana. L’incontro è stato piacevole e stimolante e soprattutto mi ha fatto molto piacere dovermi chiarire le idee per farlo, per cui ringrazio il contributo di Davide Longfils, Nathalie Alony, Michele Martinelli, Sonia Giannella, e il DS della mia scuola M.P. Mencacci .
Riassumendo cosa è risultato simile tra le esperienze scolastiche, qui dove sto io in Lucca e dall’altra parte in Israele: per entrambi la DAD non va elogiata. Perché attraverso essa stiamo perdendo il contatto con gli studenti chiusi dietro i cristalli dei devices, perché non ci guardiamo negli occhi. Diverso invece, risulta il contributo del Ministero dei due paesi, uno invisibile e uno che ti viene a cercare per sentire come la pensi. Altra differenza sostanziale, la riforma dei saperi infatti, al secondo punto dove dico le mie proposte per il futuro, molte di quelle avanzate sono già praticate nella scuola pubblica estera.

INTERVISTA
Domande rivoltemi dal Ministero dell’Istruzione Israeliana e mie preventive risposte
1- quali nuove pratiche e modelli educativi si sono sviluppati come risultato alla crisi covid?
Per rispondere all’emergenza innanzitutto, con i suoi pro e i suoi contro si è sviluppata la pratica della didattica a distanza, DAD :
Pro– abbiamo iniziato a sfruttare le possibilità offerte dai mezzi tecnologici, nel nostro caso utilizzando la piattaforma di Google suite, l’utilizzo dello schermo condiviso, le cartelle virtuali come Google drive o Classroom, la possibilità di approfondire un argomento trattato in Internet, e soprattutto dando inizio ad una digitalizzazione che in Italia tardava a venire. Positiva anche l’apertura ad una maggiore autonomia da parte degli studenti, che hanno potuto gestire maggiormente il loro tempo senza essere seguiti necessariamente passo dopo passo dagli insegnanti. Di buono è venuto anche l’enorme lavoro svolto nella produzione da parte dei professori di libretti didattici, nuovi laboratori didattici documentati con scritti e immagini ad uso degli studenti.
Contro– per lo stesso motivo, non potendo seguire gli studenti punto per punto, sono anche momentaneamente decadute delle pratiche e delle tecniche tradizionali molto importanti, come ad esempio per la mia disciplina, scultura, quella della formatura in gesso o in silicone e altre che non possono essere eseguite a distanza perché necessitano di materiali idonei e la supervisione di un professionista. La cosa peggiore prodotta dall’emergenza e dalla didattica a distanza è stata la disumanizzazione, la privazione dell’incontro in presenza del gruppo classe con i propri professori, creando su un certo piano un progressivo congelamento delle relazioni, un raffreddamento progressivo che ha coinvolto anche vari colleghi e la comunità scolastica tutta. Mentre in un primo momento durante l’emergenza ci siamo uniti come potevamo e abbiamo percepito un mutuo soccorso, ora con i tempi lunghi è avvenuto uno sfilacciamento di questo tipo di contatto. Manca l’incontro con gli occhi dei ragazzi che rimangono dietro al cristallo dello schermo distratti da altri device. Molti studenti hanno iniziato a chiudersi in se stessi e soffrire forme depressive, portandone alcuni ad abbandonare gli studi. Si è poi sviluppato un abuso e dipendenza dai mezzi tecnologici e dai social network, rimanendoci intrappolati al suo interno e alienandoci dalla natura, vera fonte di equilibrio.
La didattica a distanza ha aperto anche alla problematica della promiscuità dei luoghi, entrando nelle case delle persone, confondendo anche gli ambiti e le sue pertinenze, come anche l’utilizzo del tempo e i suoi ritmi. Ogni cosa riguardante la scuola e il lavoro è pervasa nel mondo domestico ed è stata trattata a qualsiasi ora del giorno e della notte.
La scuola è relazioni umane e formazione dell’individuo, prima ancora di essere passaggio nozionistico, ma mentre la dad ha sviluppato una grande mole di informazioni, non ha badato altrettanto bene alle relazioni dei suoi utenti.
2- quali modelli pedagogici e tecnologici c’è bisogno di sviluppare per il prossimo futuro
A mio parere c’è ancora bisogno di sviluppare modelli già noti, che promuovano l’autonomia dello studente e la sua capacità di rispondere ad un problema dato “problem solving”, quindi imparare facendo “learning by doing”, e lo scambio di informazioni e pratiche tra pari “peer education”. Come c’è bisogno di sviluppare un ascolto maggiore degli studenti, della loro condizione psicologica e sociale e dei loro bisogni, in quanto assistiamo ad una crescita esponenziale della fragilità degli stessi e anche il ruolo della scuola e l’identità della scuola deve rinnovarsi. Oggi la scuola non si concentra solo nella formazione professionale, la quale è stata incredibilmente impoverita non solo dalla didattica a distanza ma anche dall’incremento esponenziale di burocrazia e normative che hanno causato l’impossibilità di eseguire molte belle pratiche laboratoriali.
Nella scuola attuale che vede invece la possibilità di sviluppare pratiche digitali innovative grazie anche a sovvenzioni statali e che per ovvie ragioni è sempre più attenta all’inclusione scolastica di tutti, anche dei più fragili e magari anche di quelli meno portati a proseguire in un determinato indirizzo. In una scuola della super inclusione e dalle ridotte possibilità nelle pratiche professionalizzanti è probabilmente arrivato il momento di ridefinire la sua identità e se questa è oppure sta diventando, quella soprattutto di supporto ad una fragilità sempre crescente, allora ben venga l’incremento di pratiche salutistiche, di salute interiore e fisica, introduzione dello Yoga, della meditazione e delle escursioni nella natura, come altre forme per lo sviluppo delle capacità relazionali, come migliorare l’ascolto di se stessi, la comunicazione e una buona espressione con l’altro e con la società contemporanea. Troverei ad esempio molto utili dei corsi sulla comunicazione non violenta, e altro ancora, che ci permettano nell’era della comunicazione di comunicare meglio. Non basta il mezzo tecnologico e una buona connessione se non promuoviamo anche una connessione empatica ed espressiva con noi stessi e con l’altro.
La scuola è un luogo di aggregazione sociale, uno dei pochi rimasto in piedi con la pandemia, forse quello con le più grandi potenzialità ancora da esprimere. La scuola potrebbe rimanere aperta fino a notte ed ospitare iniziative e laboratori promossi dai giovani, dagli stessi studenti. Bisogna investire maggiormente in questo luogo e nel futuro dei giovani. I saperi che vengono esperiti al suo interno possono diventare più dinamici, meno accademici, più contemporanei. Particolarmente in Italia abbiamo bisogno di scollarci dai modelli passati e aprirci alla sperimentazione sana, creandola con l’incontro dei vari saperi. I professori a scuola devono incontrarsi per generare un dialogo tra le discipline, ogni sapere deve essere praticabile per avere senso, diventare formativo e non solo nozionistico.
3- quanto ho potuto contribuire per iniziare nuove pratiche
Nel mio piccolo quanto ho voluto, perché ci è stata data ed è stata rispettata la nostra piena autonomia nelle pratiche di insegnamento.
Quindi ognuno, ogni professore ha badato a sé, non c’è stato se non per piccoli gruppi uno scambio delle pratiche virtuose.
4- quanto queste hanno influenzato la motivazione degli alunni e degli insegnanti
Ad oggi non è stato creato un registro delle nuove pratiche ma sono state condivise in piccoli gruppi, chiedendo e parlando con i colleghi più affini. Le nuove pratiche sono state anche discusse con gli studenti cercando di capire quali altre possibilità avevamo per svolgere insieme la lezione e il programma. Essendo la mia una scuola vocazionale, un liceo artistico, le motivazioni arrivano col fare stesso.
5- quanto queste pratiche hanno influenzato sulla resilienza emotiva e sociale in rapporto allo studio di alunni e insegnanti
Ho riconosciuto che gli studenti e gli insegnanti fanno scuola di buon grado anche per sfuggire alla noia e alla solitudine del lockdown. La scuola è stata di grande supporto per tutti gli studenti, anche se alcuni, nonostante i vari tentativi, non sono riusciti a rompere la chiusura che si prova nello stare dietro lo schermo finendo per abbandonare gli studi.
6- le nuove pratiche sono arrivate dalla scuola o dal ministero?
La scuola ha promosso l’utilizzo di nuove pratiche e segnalato corsi sul tema. Il Ministero da quanto ne so non ha prodotto nulla, se non indicazioni di autotutela, su quanto tempo è legittimo che ragazzi e bambini stiano davanti allo schermo, valutando come idoneo un massimo di 40/45 minuti per volta, seguiti da una pausa di 15 minuti.
7- C’è stato un cambiamento nella percezione del sistema educativo dal punto di vista dell’insegnante, studente e genitore?
Nella mia scuola ho sentito una chiamata naturale alla responsabilizzazione di tutto il corpo docenti che si è dato un gran da fare per affrontare l’emergenza e di risposta gli studenti, che hanno riconosciuto il loro bisogno della scuola e la loro voglia di tornare in classe, e anche l’apprezzamento del lavoro svolto da parte dei genitori. Oggi più di ieri abbiamo la percezione di quanto la scuola sia di supporto per affrontare le difficoltà incontrate con l’emergenza sanitaria e quanto sia importante il suo ruolo per le relazioni umane. Anche quando le modalità non permettevano un completo passaggio di informazioni didattiche, fondamentale è stato il contatto sociale, vedere che siamo una comunità sulla stessa barca.
8- fino a che punto l’interazione scuola e autorità locali hanno contribuito alla stabilità del sistema educativo
Non conosco questo dettaglio in modo approfondito, sicuramente lo sa meglio di me il mio dirigente scolastico. Posso dire riguardo alla stabilità che : mentre lo scorso anno nella modalità a distanza siamo riusciti a crearne, quest’anno a causa dei continui cambiamenti della percentuale di presenza permessa in classe agli studenti, che variavano improvvisamente dall’oggi al domani tutte le nostre programmazioni sono state messe in crisi. Si passava da solo gli studenti certificati in presenza, al 25% 50% o 75%. Ne è risultata una grande confusione e incertezza, e una incapacità di progettare un iter coerente, ci siamo visti continuamente sottrarre la possibilità di svolgere ciò che stavamo mettendo in atto. Soprattutto in discipline come quella che svolgo io, scultura, dove i laboratori e lo sviluppo di un elaborato possono durare anche alcuni mesi, il continuo cambio di modalità, a distanza o in presenza, ha reso necessario lo sviluppo di diverse possibilità, quindi abbiamo progettato determinati lavori da svolgere solo in presenza e altre tipologie da portate avanti a casa.
Per concludere la stabilità del sistema è stata data dalla capacità plastica dei professori insieme ai loro studenti.